Tunisi, un mese dalla Rivoluzione

TUNISIA, UN MESE DI RIVOLUZIONI

di Alessio Genovese

[English excerpt: Alessio Genovese in back to Tunisia a few weeks after January Revolution. While Italy is dealing with the huge refugees flow, let’s see what is going on there… ]

E’ il 29 gennaio, sono passate due settimane dal 14 il giorno in cui Ben Ali è scappato da Tunisi cacciato dai migliaia di manifestanti provenuti da ogni parte del paese per assediare il palazzo del governo alla Casba chiedendo le sue dimissioni.
Sulla nave Palermo-Tunisi la maggior parte dei passeggeri sono tunisini. Molti di loro tornano per contribuire alla costruzione di una nuova società nel paese appena liberato, altri invece sono commerciati e professionisti che fanno la spola con l’ Italia da anni.
Tra di loro c’è Munir, un giovane ingegnere in telecomunicazioni che una volta ogni due mesi viene in Italia per studiare nuove tecnologie da importare in Tunisia. Durante i giorni della rivoluzione dei gelsomini era nel suo paese. Da lui il primo avvertimento: “la rivoluzione comincia adesso. Quello che abbiamo visto nei giorni scorsi è stata un esplosione di rabbia senza nessun tipo di idea politica alternativa. Ho partecipato anch’io alle manifestazioni e agli scontri, era giusto farlo, ma adesso molti non hanno capito che mantenere alta la tensione non aiuta la nostra causa”.
Arrivo in Tunisia la mattina del giorno dopo.

É domenica 30 gennaio e sono le 6.30 di mattina. Le strade sono deserte. In giro non c’è nessuno ad eccezione dell’esercito piazzato un po’ dappertutto. Alle 9.00 sono nella piazza della Casba.

Dei centinaia di ragazzi provenuti da ogni parte del paese che per più di una settimana hanno occupato pacificamente la piazza del palazzo del Governo nessuna traccia.


L’aria che si respira è tesa, nel silenzio delle strade si preannuncia la tempesta. Si fa pomeriggio e la città resta vuota, immobile è ogni cosa. Quello di oggi è il primo giorno di calma piatta dall’inizio dell’anno. Due giorni fa il nuovo governo provvisorio, guidato dallo stesso ex primo ministro di Ben Ali, aveva utilizzato le maniere forti per sgomberare gli ultimi manifestanti del sit-in permanente alla Casba. Erano per lo più giovani venuti dal sud, da Sidi Bouzid, da Sfax, da Soussa e dalle altre provincie. Oggi questa stessa piazza, l’ Avenoue Bourghiba e l’intera Tunisi sono deserte. A ricordare che qui due settimane fa c’è stata una rivoluzione solo le scritte si muri, la più bella dice: “Dopo questo giorno non aver paura”

La notte cala presto sulla Tunisia. Il governo di Mohamed Ghannouchi mantiene il coprifuoco dalle 20.00 alle 04.00 della mattina. Già alle quattro di pomeriggio si vede la gente scappare in fretta e furia verso le loro case, non si trovano più trasporti pubblici e negozi aperti. Ogni quartiere della capitale, ogni villaggio del paese hanno organizzato delle ronde notturne per proteggere le case e i negozi dall’attacco di saccheggiatori e delle milizie. Anche se la situazione nella capitale è apparentemente calma voci danno il sud e le province al confine con l’Algeria sotto attacco delle milizie. In questi giorni l’attenzione dei media internazionali per la Tunisia è quasi zero. La rivoluzione ha preso piede in Egitto e di Tunisia quasi non se ne parla più.

Ci sono grandi difficoltà per girare nel paese e nord e sud sembrano più lontani che mai. Dalla caduta del regime le forze dell’ordine sono entrate in sciopero e molti di quelli che erano fino all’altro ieri poliziotti si sono tolti le divise e sono andati ad incrementare le fila dei miliziani.

I contatti al sud mi confermano che la notte ci sono scontri armati tra l’esercito e i miliziani. Vengono presi di mira gli uffici del comune e gli archivi di Stato, colpiscono e distruggono gli uffici della anagrafe nel tentativo meschino di cancellare le informazioni sui cittadini.
Nella regione di El Kef, al confine algerino, ormai da più di un mese ogni sera ci registrano scontri e saccheggi. Gli abitanti della vecchia Medina hanno bloccato l’accesso alla città storica con pezzi di metallo e copertoni.
Ahmed Khammesi era un giovane studente di soli 19 anni. E’ morto ammazzato per mano dello stesso comandante della polizia locale, passato adesso con le milizie. Di ragazzi uccisi per sbaglio da raffiche di mitra impazziti da queste parti se ne contano un decina, molti corpi sono stati fatti scomparire ed è difficile risalire al numero esatto e alla loro identità.

Al confine opposto, al sud del paese, a Sidi Bouzid lo scenario che si ripete è lo stesso. Siamo nella città dove si dice sia iniziato tutto, la rivoluzione tunisina e quella araba. Siamo nella città del martire Mohamed Bouazizi, il primo giovane a darsi fuoco per protesta contro le difficile condizioni economiche e di emarginazione in cui è costretto il sud del paese. É questa la città che ha pagato il prezzo più alto di vite durante gli ultimi giorni di Ben Ali e ancora oggi qui la tensione resta alta.

Di giorno invece è un altra cosa. Un po’ dappertutto nel paese i tunisini cercano di vivere una vita normale. La capitale ha ripreso vita e le strade sono tornate ad essere piene. Per chi non conosceva il paese prima, ai tempi di Ben Ali, tutto potrebbe sembrare normale. Le bancarelle ai lati delle strade, le donne velate che vanno a fare shopping, i ragazzi al bar che fanno battute sul dittatore, l’ adhan della moschea che chiama i fedeli alla preghiera della sera, tutto potrebbe sembrare normale quotidianità di un paese a maggioranza musulmano.

Ma così non è, anche e soprattutto queste piccole cose sono le conquiste della rivoluzione. Ogni pomeriggio nella strada principale di Tunisi, l’ Avenue Habib Bourguiba, gruppetti di persone organizzano delle micro-manifestazioni spontanee. Molti non sono ancora soddisfatti dei risultati fin qui ottenuti, vorrebbero di più. Ci sono i lavoratori iscritti al sindacato generale che vorrebbero un ricambio dei vertici ed elezioni democratiche per i rappresentanti.

Sono in sciopero da una settimana, chiedono con fermezza che il sindacato si rinnovi e che i salari vengano aumentati. Ci sono i musulmani che ogni venerdì scendono in piazza a pregare in pubblico, chiedono il diritto di rispettare i precetti dell’Islam liberamente. Ci sono persone a cui i Trabelsi, i parenti della moglie del vecchio dittatore, hanno sottratto ingiustamente e con la forza terre e proprietà. Ci sono i comitati spontanei che si riuniscono ogni giorno per discutere sulla linea da adottare per meglio vigilare sul periodo di transizione di questo governo e sulle prossime elezioni libere.

Alessio Genovese/S4C

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N.d.R.

E intanto a Lampedusa:

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